La valutazione degli alunni stranieri neo-arrivati Stampa
Martedì 23 Marzo 2010 12:42

Abstract della relazione tenuta dal prof. Elio Gilberto Bettinelli in occasione della "Giornata provinciale Intercultura" del 19 marzo 2010.

La valutazione degli alunni stranieri neo-arrivati.

Elio Gilberto Bettinelli

Assistiamo da qualche tempo a un ritorno di attenzione verso la tematica
della valutazione degli alunni, certamente accentuato dalle recenti
normative al riguardo. La focalizzazione sulla reintroduzione dei voti
numerici nel primo ciclo dell’istruzione pare accompagnarsi all’intento di
“tornare a una scuola seria”, in grado di valutare gli esiti degli alunni in
modo chiaro e dire, di conseguenza, se possono procedere nel loro
percorso o se debbono fermarsi. Se il voto numerico sembra definire con
chiarezza il livello di prestazione dei singoli, il collegare la promozione al
raggiungimento della sufficienza in tutte le discipline o gruppi di discipline
pare rispondere alla volontà di stabilire dei traguardi precisi, delle linee
discriminanti l’accettabilità dalla non adeguatezza.
Gli insegnanti tuttavia si trovano a confrontarsi con situazioni, come quelle
di tanti alunni immigrati, che sfuggono a definizioni troppo rigide, con
percorsi personali che si scandiscono secondo tempi diversi e necessitano
di dispositivi specifici, pur essendo mirati - e di fatto spesso
raggiungendo- esiti equivalenti e comunque accettabili. Presi, diciamo, fra
la rigidità delle norme e la pressione valutativa esercitata anche dal
contesto da un lato e, dall’altro, la realtà dei percorsi individuali specifici
degli alunni NAI, molti insegnanti sono affetti da una sorta di ansia
valutativa derivante sia da consolidate rappresentazioni del proprio ruolo
di insegnante, sia dalla difficoltà a gestire la variabilità, la imprevedibilità
dei percorsi individuali e il loro scostamento dagli standard di riferimento
più o meno consueti, in una situazione di scarsa o approssimativa
conoscenza delle pregresse storie scolastiche di ciascuno. Ne scaturisce un
bisogno e una domanda di controllo dei processi, la richiesta di indicazioni
operative immediatamente spendibili e di strumenti di pronto intervento “a
prova di contingenza”.
Ma le richieste in tal senso giungono anche da altri soggetti che mediano, o
cercano di volgere al positivo stati d’animo diffusi fra i colleghi e
domande non bene articolate. Referenti, facilitatori, insegnanti “ben
intenzionati” chiedono sostegno al loro impegno per sostenere i percorsi
personali degli alunni evitando valutazioni che non ne tengono conto, con i
conseguenti rischi di bocciature, demotivazione, abbandoni. Cercano
insomma di far sì che la valutazione di fine anno non somigli all’asticella
da saltare, posta per tutti alla stessa altezza a prescindere dalla lunghezza
della rincorsa che ognuno può realizzare. In questi casi la domanda è se e
come sia possibile, didatticamente e normativamente, tener conto del
“gap” scolastico degli alunni NAI, sul piano dei programmi di
insegnamento e, coerentemente, su quello della valutazione degli alunni.
Problematicità che rinvia a un tema assai generale, vale a dire a quella
sorta di dicotomia, percepita più intensamente nella scuola secondaria, fra
lo stabilire con scansioni temporali definite e “universali” meriti e demeriti
individuali o invece accogliere e sostenere i percorsi diversi, variabili, dei
singoli. In termini ancora più generali potremmo dire che la presenza degli
alunni NAI fa emergere le rigidità del sistema scolastico e dunque la sua
difficoltà a rispondere alle sfide tenendo conto delle individualità, delle
specificità e del fluire dei processi cognitivi, emotivi, evolutivi e identitari.
E’ innanzitutto opportuno affermare che la valutazione degli alunni NAI
non richiede la messa in gioco di concetti e costrutti particolari ma
comporta una rivisitazione e una declinazione che consenta di considerare
le loro specificità. Si tratta allora di richiamare sia le funzioni della
valutazione fra le quali possono sorgere distonie e frizioni sia le tipologie
della valutazione.
Consideriamo le quattro funzioni della valutazione come vengono proposte
con chiarezza da A. Rezzara ( "Pensare la valutazione. Pratiche valutative scolastiche e riflessioni pedagogiche", Mursia 2000).
 La funzione didattica si esplicita nell’informazione che l’insegnante comunica
 all’alunno a proposito del suo percorso di apprendimento, delle tappe e degli obiettivi che ha
raggiunto o dai quali ancora dista. Si tratta del feedback che presuppone il
necessario coinvolgimento dell’alunno nel suo proprio processo di
apprendimento, una guida alla assunzione di responsabilità e alla
autovalutazione, importante per alunni di ogni grado scolastico ma
particolarmente significativa per adolescenti e ragazzi ai quali occorre dare
il senso di un processo di apprendimento anche “nelle loro mani”, tanto
più se essi sono immigrati, bisognosi di riconoscere i passi e i traguardi dei
percorsi loro proposti.
Alla funzione didattica è collegata strettamente quella relazionale
mediante la quale l’insegnante comunica immagini e aspettative non
solamente all’alunno la cui attività viene valutata ma, inevitabilmente, a
tutti gli alunni della classe. Valutare in classe è sempre un atto pubblico
seppur esso possa svolgersi con enfasi e modalità differenziate. E’ una
funzione non sempre colta dagli insegnanti nella sua reale portata.
L’espressione pubblica della valutazione costruisce gerarchie e livelli che
influenzano in diversi modi le relazioni sociali fra i bambini e i ragazzi ma
anche fra loro e i docenti. Non dimentichiamo poi che essa, se induce
confronti, attiva anche pensieri sui criteri della valutazione, sulla
“giustizia” e l’uguaglianza, temi ai quali adolescenti e ragazzi sono
sensibili.
La funzione burocratica si esplica in quella che comunemente viene
definita la valutazione sommativa e certificativa cui sono chiamati gli
insegnanti dalle norme che regolano il loro ruolo.
Infine, ma certamente non ultima, consideriamo la funzione pedagogica,
regolativa del percorso dell’alunno e, in senso lato, del processo educativo.
Essa si espande in quella che Rezzara definisce funzione epistemologica
per la quale “i dati rilevati informano e parlano del progetto messo in atto,
cercano motivi e spiegazioni nella correttezza o meno degli obiettivi,
nell’adeguatezza dell’azione formativa, della relazione, dei metodi e della
comunicazione didattica”. Essa sollecita gli insegnanti, in quanto singoli e
team, a interrogarsi sull’adeguatezza della didattica, del progetto educativo
in generale. Rimanda quindi al tema, non semplice, dei percorsi personali
di apprendimento degli alunni NAI che l’istanza pedagogica con approccio
interculturale sostiene.
Ci è d’aiuto anche una breve riflessione sulle tipologie della valutazione:
idiografica, normativa, criteriale.
La valutazione idiografica adotta un criterio riferito al “sé” in base al quale
si attua un confronto diacronico fra la situazione iniziale dell’alunno e
quella finale, senza riferimenti a parametri esterni. Essa certamente rileva
le evoluzioni e i cambiamenti ma rischia di allontanarsi dagli standard
ritenuti accettabili o indispensabili per una certa fascia di alunni; inoltre
essa considera l’alunno “avulso” dal contesto sociale in cui è inserito e nel
quale fra pari si effettuano confronti espliciti e impliciti. Adottando in
modo permanente ed estensivo questo tipo di valutazione si corre il rischio
di collocare l’alunno in uno “stato di minorità”. Essa tuttavia può svolgere
una funzione positiva nelle fasi iniziali del percorso dell’alunno straniero
quando si tratta di evidenziare il progresso personale e sostenere la
motivazione, non ponendo obiettivi irraggiungibili o lontani.
Un confronto sincronico caratterizza invece la valutazione di tipo
normativo: il confronto fra prestazione del singolo e prestazione del
gruppo la quale, tuttavia può essere determinata secondo due diversi
parametri. Il parametro standardizzato fa riferimento alla norma di un
campione, magari rilevato mediante prove appunto standardizzate del
genere di quelle utilizzate per le prove INVALSI; il parametro relativo è
riferito invece alla norma di un gruppo, di una classe. In sostanza a un dato
momento, confrontando gli esiti del singolo con gli esiti di un gruppo di
riferimento, si definisce la collocazione – sopra o sotto – di un alunno.
Quando si ricorre a questo tipo di valutazione è indispensabile considerare
il suo uso. Infatti esso ha un senso e anche una utilità descrittiva per gli
insegnanti che, costruendo così il quadro della distribuzione degli alunni
relativamente a quelli che sono considerati obiettivi di apprendimento,
possono prendere decisioni didattiche e progettuali conseguenti. Se invece
viene utilizzata, magari con enfasi, pubblicamente all’interno della classe,
può risultare estremamente penalizzante per gli alunni in difficoltà
momentanea, con effetti negativi sulla motivazione all’apprendimento e
sull’autostima. Inoltre il parametro relativo accentua l’arbitrarietà della
valutazione e può favorire la competizione, generalmente non positiva sul
piano motivazionale per gli alunni in difficoltà.
Infine la valutazione criteriale, anch’essa sincronica, instaura un
confronto fra i risultati di apprendimento dei singoli alunni e criteri
predeterminati definiti in precedenza dalla programmazione. Certo si tratta
di stabilire tali criteri: si considerano obiettivi di apprendimento, contenuti,
abilità o competenze ? Comunque si organizzi la programmazione,
ovviamente anche sulla base delle Indicazioni nazionali che fissano
traguardi periodici e finali, i criteri predefiniti sono “universali”,
“generali” ma possono trovare specificazioni personali, una diversa
articolazione temporale per il loro raggiungimento, rimanendo valida la
definizione di criteri conclusivi propri di un ciclo di studi. In quest’ottica
trovano spazio i Piani personali per gli alunni immigrati che comportano
quindi non tanto una riduzione dei programmi di insegnamento, anche se
certamente di alcuni contenuti, ma differenti modulazioni temporali.
Si pone a questo punto la questione del rapporto fra istanze pedagogiche e
norme.
La domanda riguardante la legittimità dei percorsi personalizzati - Si
possono adattare i programmi di insegnamento e le procedure di
valutazione degli alunni NAI ? – pare possa avere una risposta articolata e
non del tutto limpida, comunque insoddisfacente, almeno se ci riferiamo
solamente al recente Regolamento sulla Valutazione e, ancor di più, alla
circolare ministeriale 50 del 20 maggio 2009 . Ma occorre considerare
anche altre norme generali e specifiche tuttora attuali che invece danno
indicazioni di flessibilità e attenzione ai percorsi personali dei singoli
alunni. Le richiamiamo brevemente:
- D.P.R. 31 agosto 1999 n. 394, art. 46;
- C.M. n. 24 del 1 marzo 2006 “Linee guida per l’accoglienza e
l’integrazione degli alunni stranieri”;
- Documento ministeriale dell’ottobre 2007 “La via italiana per la scuola
interculturale e l’integrazione degli alunni stranieri”.
Merita un’attenzione più puntuale il Regolamento sulla valutazione, il
DPR n. 122 del 22 giugno 2009, emanato ai sensi degli art. 2 e 3 della
legge di conversione n. 169 del 30 ottobre 2008.
Il comma 9 dell’art. 1 dice che “minori con cittadinanza non italiana...
sono valutati nelle forme e nei modi previsti per i cittadini italiani”: un
doveroso richiamo a un principio universalistico teso a escludere qualsiasi
forma di discriminazione ma che rischia, se non correttamente interpretato
appunto come norma anti-discriminazione, di non far considerare le
specificità degli alunni NAI. E’ sparito l’art. sugli alunni “di lingua nativa
non italiana” che, nelle prime bozze del regolamento, pareva introdurre
una certa flessibilità, riprendendo alcune affermazioni delle Linee Guida
del 2006. Sembra quasi un ritorno all’invisibilità degli alunni NAI. Mi
paiono pertinenti anche in questo contesto le considerazioni proposte da
Taguieff2 a proposito dell’azione antirazzista. Vale a dire che “l’efficacia
della strategia adottata si impone come criterio provvisorio della scelta che
verte sull’orientamento - universalista o differenzialista - alla sola
condizione di difendere il diritto alla differenza subordinandolo
all’esigenza dell’universalità”. Nel nostro caso mi pare urgente e
necessario riconoscere esplicitamente, anche a livello normativo, la
specificità dei percorsi personali di apprendimento degli alunni NAI che
comportano quindi anche adattamenti della valutazione certificativa.
Nel Regolamento sono comunque individuabili punti interessanti, aperture
attraverso cui possono passare quelle che abbiamo definito istanze
pedagogiche. Innanzitutto il richiamo al principio dell’autonomia delle
scuole per quanto riguarda l’esercizio della valutazione. Inoltre per la
Scuola primaria e la Secondaria di 1° grado si afferma che la promozione
può essere deliberata “in presenza di carenze relativamente al
raggiungimento degli obiettivi di apprendimento”: un evidente varco per
piani personalizzati biennali. In questo caso “la scuola provvede ad
inserire una specifica nota al riguardo nel documento individuale di
valutazione e trasmettere quest’ultimo alla famiglia”.
Nella scuola superiore non è data questa possibilità e anzi, la norma che
impone l’estinzione di debiti prima dell’avvio dell’anno successivo,
sembra andare in direzione diversa da quella delle scuole che progettano
percorsi personalizzati su base biennale o addirittura pluriennale. Ma,
d’altra parte lo stesso regolamento prevede che la valutazione si ispiri ai
criteri della “equità e trasparenza” e indica che: “Le verifiche intermedie
e le valutazioni periodiche e finali sul rendimento scolastico devono
essere coerenti con gli obiettivi di apprendimento previsti dal piano
dell’offerta formativa “. Si tratta di affermazione importanti perché, ad
esempio, non può certamente considerarsi equa una valutazione che ignori
i punti di partenza e non consideri gli effettivi dispositivi di supporto messi
in atto per gli alunni NAI.
Su di un piano generale vi è a mio parere la necessità di un intervento
normativo che superi l’invisibilità e le citazioni di “parità” formale. Si
potrebbe prevedere, come in altri paesi europei, la possibilità di sospendere
la valutazione certificativa (di passaggio da una classe all’altra) per un
biennio a determinate condizioni e sulla base di apposite delibere del
Collegio Docenti.
Nel frattempo che cosa potranno fare le scuole ? Come potranno salvare le
istanze pedagogiche e ammettere alla classe successiva quegli alunni che
non hanno raggiunto obiettivi standard annuali ma che presentano i
presupposti per un possibile recupero futuro? Credo che, come sempre,
sarà la scuola reale, formata da Dirigenti e docenti responsabili, a dover
affrontare i problemi generati da una normativa inadeguata rispetto alla
realtà scolastica quotidianamente vissuta. Si tratta allora di ribadire la
validità della proposta dei percorsi personali e di assumere decisioni
istituzionali conseguenti:
a. Delibera del CD sui criteri di gestione e attuazione delle normative
generali e specifiche sulla valutazione, con la formalizzazione dei
Piano personali di transizione, di durata biennale
b. Possibile gradualità delle prove dell’esame di stato conclusivo del 1°
ciclo dell’istruzione
c. Delibera di formalizzazione di percorsi personali per la seconda lingua
comunitaria, diversa da quella il cui insegnamento è impartito nella
scuola.